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Cappello del prete
Storia di un taglio ricco di sapore
908 giorni fa
Cappello del prete, che buffo nome da leggere in macelleria! Eppure questo taglio di carne di manzo caratterizzato da una vena che lo attraversa centralmente è famosissimo per essere utilizzato nelle preparazioni che prevedono una lunga cottura come bolliti, brasati, stufati e spezzatini.
Possedendo una grande versatilità, resta una valida alternativa anche la cottura sulla griglia, dove il pezzo di carne riesce a trovare una notevole succosità che accarezza il palato, donando un senso di scioglievolezza in bocca.
La preparazione a cui si adatta alla perfezione è il brodo di carne, donando a quest’ultimo una fragranza succulenta, decisa e aromatica.
Insomma, il cappello del prete è una di quelle carni di cui non si può fare a meno se si decide di lanciarsi in qualche preparazione della tradizione culinaria italiana, ma a quale parte del manzo corrisponde? Te lo spieghiamo subito!
Il nome “cappello del prete”, in Italia viene associato a diversi alimenti: dal salume tipico emiliano realizzato con carne di suino, alla zucca particolarmente diffusa tra le zone di Mantova e di Reggio Emilia, ciò che accomuna dei cibi così distinti è la forma, piuttosto riconoscibile. Alla vista si presenta come un triangolo allungato con una sporgenza, la cui somiglianza con il cappello a tre punti indossato dai preti gli ha conferito un nome così popolare.
Oggi, però, ci soffermeremo sul taglio di carne, il cappello del prete appunto, chiamato da alcuni il “tesoro dei macellai” ed estratto dal quarto anteriore di manzo, vitello o vitellone, o più precisamente dalla spalla.
Al suo interno, come in un forziere, si nasconde un tesoro che pochi conoscono: il muscolo infraspinato, inferiore per tenerezza solo al filetto, che grazie alla maggiore concentrazione di grasso risulta molto più sapido.
Questo muscolo, non essendo sottoposto a sforzi durante la vita dell''animale, si distingue per la delicatezza e ricchezza di sapore.
In America dall’infraspinato si ricava un preciso taglio di carne, la Flat Iron Steak, una bistecca che trova la sua massima concentrazione di sapore nella cottura alla piastra in flip & brash.
In tutta Italia questa parte del manzo assume nomi differenti, eccone alcuni:
Essendo un taglio di carne non particolarmente grasso, il cappello del prete può, in piccole porzioni, essere inserito in quasi tutte le diete tranne quella vegetariana e vegana.
Al suo interno non sono presenti carboidrati, ma, essendo una carne rossa, contiene numerosi acidi grassi polinsaturi che non lo rendono un alimento per il consumo quotidiano.
Il cappello del prete come parte del manzo si presenta come un alimento ricco di proteine ad alto valore biologico, di vitamine, in particolare quelle del gruppo B, ottime per la concentrazione e l’energia, e di minerali specifici come ferro, fosforo e zinco.
Assunto con moderazione è ottimo per il nostro organismo e perfetto per un bel brasato domenicale!
Possedendo una grande versatilità, resta una valida alternativa anche la cottura sulla griglia, dove il pezzo di carne riesce a trovare una notevole succosità che accarezza il palato, donando un senso di scioglievolezza in bocca.
La preparazione a cui si adatta alla perfezione è il brodo di carne, donando a quest’ultimo una fragranza succulenta, decisa e aromatica.
Insomma, il cappello del prete è una di quelle carni di cui non si può fare a meno se si decide di lanciarsi in qualche preparazione della tradizione culinaria italiana, ma a quale parte del manzo corrisponde? Te lo spieghiamo subito!
Come riconoscere il cappello del prete
Il nome “cappello del prete”, in Italia viene associato a diversi alimenti: dal salume tipico emiliano realizzato con carne di suino, alla zucca particolarmente diffusa tra le zone di Mantova e di Reggio Emilia, ciò che accomuna dei cibi così distinti è la forma, piuttosto riconoscibile. Alla vista si presenta come un triangolo allungato con una sporgenza, la cui somiglianza con il cappello a tre punti indossato dai preti gli ha conferito un nome così popolare.
Oggi, però, ci soffermeremo sul taglio di carne, il cappello del prete appunto, chiamato da alcuni il “tesoro dei macellai” ed estratto dal quarto anteriore di manzo, vitello o vitellone, o più precisamente dalla spalla.
Al suo interno, come in un forziere, si nasconde un tesoro che pochi conoscono: il muscolo infraspinato, inferiore per tenerezza solo al filetto, che grazie alla maggiore concentrazione di grasso risulta molto più sapido.
Questo muscolo, non essendo sottoposto a sforzi durante la vita dell''animale, si distingue per la delicatezza e ricchezza di sapore.
In America dall’infraspinato si ricava un preciso taglio di carne, la Flat Iron Steak, una bistecca che trova la sua massima concentrazione di sapore nella cottura alla piastra in flip & brash.
In tutta Italia questa parte del manzo assume nomi differenti, eccone alcuni:
- Fesone di spalla a Milano.
- Spalla a Bari, Napoli e Torino.
- Polpa di spalla nelle regioni centrali.
- Scorza di spalla a Reggio Calabria.
- Paliciata in Sicilia (che assume denominazioni differenti in base alla località: viene chiamato Spallone a Messina, Copertura di spalla a Catania e Piano di spalla a Palermo.)
Valori nutrizionali del cappello del prete
Essendo un taglio di carne non particolarmente grasso, il cappello del prete può, in piccole porzioni, essere inserito in quasi tutte le diete tranne quella vegetariana e vegana.
Al suo interno non sono presenti carboidrati, ma, essendo una carne rossa, contiene numerosi acidi grassi polinsaturi che non lo rendono un alimento per il consumo quotidiano.
Il cappello del prete come parte del manzo si presenta come un alimento ricco di proteine ad alto valore biologico, di vitamine, in particolare quelle del gruppo B, ottime per la concentrazione e l’energia, e di minerali specifici come ferro, fosforo e zinco.
Assunto con moderazione è ottimo per il nostro organismo e perfetto per un bel brasato domenicale!